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Un professionista non parla male della concorrenza: la competizione fra colleghi non è un match di boxe.

Comunicare. Un’azione quotidiana, che può trasformare la più atavica delle esperienze umane in un’arte. O in una sfida senza regole. Ogni rapporto umano comincia con una semplice azione primordiale, quella di mettere una parola davanti ad un’altra, con una determinata espressione del viso, un tono di voce, una postura del corpo: il linguaggio. Così come ogni rapporto professionale fra colleghi comincia con un’altra azione primordiale, quella di mettere una sfida davanti ad un’altra: la competizione. Competitor: un sostantivo che non ha alcun connotato negativo. Anzi un sano confronto e un’analisi obiettiva e razionale della concorrenza, nel marketing come nella gestione aziendale strategica, è una sana valutazione dei punti di forza e di debolezza dei propri concorrenti che può fornire dati utili ed insight per il proprio business: chi sono i leader di questo mercato? Perché lo sono? Cosa hanno fatto per diventarlo? Come promuovono la propria immagine? Quanto è alta la qualità dei servizi che offrono? La concorrenza è sempre una presenza positiva, perché ci obbliga a dare il meglio di noi stessi, mentre il monopolio tende a rendere le persone compiacenti del loro livello, anche se mediocre. Ma allora per quale motivo capita così spesso di parlarne male? Modo di pensare, stile di vita, complesso di inferiorità o semplicemente un “credo” errato? In ogni caso un vizio molto diffuso. E un grave errore. A parole, tutti riconoscono che sia un comportamento scorretto, ma poi in pratica molti continuano a farlo senza alcuna pietà. E pensare che parlar male dei colleghi ci possa aiutare, possa farci mietere consensi, è una mera illusione. Siamo circondati da concorrenti, ed impiegare la nostra energia per distruggere la loro brand reputation è la cosa più inutile che si possa fare. Non importa quanto sia profonda la rabbia, la paura, il rancore o l’invidia che proviamo, gettare fango sui colleghi non ci aiuterà, anzi a volte genererà l’effetto opposto. Il modo in cui parliamo di loro racconta molto di noi, e il nostro interlocutore percepisce ben oltre le parole. Gli psicologi americani lo chiamano “spontaneous trait inference”, quel meccanismo inconscio di chi ci ascolta che fa associare a noi stessi le cose spiacevoli che diciamo contro i nostri competitor. Il risultato? Un effetto boomerang, e la nostra credibilità va in frantumi. A volte non è sufficiente essere dei bravi professionisti, il talento non basta, non esiste nulla di più comune di un fallito pieno di talento. Anche il genio, da solo, non basta, il genio incompreso è già una frase fatta. La filosofia di un buon Outsider, che riesce a pensare fuori dagli schemi e ad agire fuori dalla propria comfort area, è quella di instaurare un rapporto privilegiato con i colleghi, spingendo sempre più professionisti ad usare i propri punti di forza per differenziarsi dalla concorrenza. La storia delle attività professionali di successo è costellata di leader che grazie alla loro capacità di comunicare in modo etico, con un atteggiamento mentale positivo, e di agire differenziando le strategie di comunicazione, i prodotti e i servizi, hanno raggiunto i più alti segmenti di mercato. Sui social media gira una frase che conta commenti, condivisioni, like ed oltre 18 mila click: “Un professionista non parla mai male della concorrenza. Un professionista usa i suoi punti di forza per differenziarsi dalla concorrenza”. Una citazione diventata virale che usa il linguaggio globale del web, un messaggio chiaro contro l’ignoranza, la violenza delle parole, l’arroganza, la prevaricazione. In Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) vengono chiamate le 4 posizioni psicologiche. Tu sei OK/io non sono OK: la vittima. Io non sono OK/tu non sei OK: il perdente. Io sono OK/tu non sei OK: il prevaricatore. Io sono OK/tu sei OK: il vincitore. Io vinco e tu vinci. Così pensa un vero leader. La competizione non è un match di boxe. Yes competition, no fight. Semplice etica professionale.